Rubrica: Musi ispiratori
"Tua è la solitudine, tuo il segreto”. J.L. Borges. fin dove ci conduce il suo gatto?
“Ad un gatto”. Una poesia di Jorge Luis Borges
A cura di Adriana Silvestro
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Ci sono alcuni scrittori di cui è davvero difficile parlare. Quasi che cercare di accostarsi a loro usando altre parole possa disturbare il silenzio e quel tempo eterno che emana dai loro scritti. Jorge Louis Borges (Buenos Aires, 1899-1986) è uno fra questi. Entrare nella sua prosa e nei suoi versi per noi equivale spesso a entrare in una cattedrale deserta, dove anche il proprio respiro sembra poter diventare fonte di un rumore soverchio.
Al termine di una sua poesia (su una donna) si legge: “Proiettato nelle quiete/ scorgerò quella riva estrema del tuo essere/ e ti vedrò forse per la prima volta/ quale Iddio deve ravvisarti,/annullata la finzione del Tempo,/senza l'amore, senza di me.”*
In Borges tutto viene collocato in una dimensione di atemporalità. La sua scrittura tende continuamente ad allontanarci da ogni caducità psicologica e a sospingerci “al centro, alla mia chiave, all'algebra, allo specchio”.**
Non stupisce, quindi, che il gatto sia entrato da protagonista in una sua poesia. In alcune culture i gatti sono stati considerati, non a caso, creature divine, probabilmente per la loro bellezza, per il fascino esercitato dalle loro movenze perfette, indecifrabili, silenti; e forse perché, anche se scrutati a lungo, restano insondabili, come se non appartenessero completamente o soltanto a questo mondo.
Per una combinazione tra la bellezza “lunare” dei gatti e l'essenzialità e profondità di visione di Borges, il suo gatto diventa un essere quasi divino o che almeno partecipa di quelli che, nell'immaginario umano, sono gli attributi della divinità: è “lontano”, “remoto”, “cercato invano”. Borges non ce ne svela la misteriosa natura. Anzi, ci lascia senza fiato davanti a una creatura che vive, ma che ci guarda già dall'eternità. Con “una mano timorosa”, però, ce la fa sfiorare.
Ad un gatto
Non sono più silenziosi gli specchi
né più furtiva l'alba avventuriera;
sei, sotto la luna, quella pantera
che a noi ci è dato percepire da lontano.
Per opera indecifrabile di un decreto
divino ti cerchiamo invano;
più remoto del Gange e del Ponente
tua è la solitudine, tuo il segreto.
La tua schiena accondiscende la carezza
lenta della mia mano. Hai accolto,
da quella eternità che è già oblio,
l'amore di una mano timorosa.
Sei in un altro tempo. Sei il padrone
di un ambito chiuso come un sogno.
*Jorge Luis Borges, Carme presunto ed altre poesie, Torino, Einaudi, 1958, p. 97.
**Jorge Luis Borges, Elogio dell'ombra, Torino, Einaudi, 1971, p. 131. Ricordiamo che Borges, nel corso della sua vita, divenne gradatamente cieco. Da qui il titolo della poesia e della raccolta.
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25 Febbraio 2008