Rubrica: Musi ispiratori
“… E’ una sola cosa, come il sole o il topazio…” Le metafore intorno ad un gatto di P.Neruda
“Ode al gatto”, di Pablo Neruda
A cura di Adriana Silvestro
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In questa poesia di Pablo Neruda (Parral, Cile1904 – Santiago1973) sembra che l’universo stesso si compiaccia di aver creato il gatto; lui, infatti, è la sola creatura riuscita perfettamente, “completamente rifinita”. Non c’è nel gatto nessuna nostalgia o anelito ad essere qualcosa che non sia lui stesso. Simile ad un’opera d’arte è compiuto, non tende a niente, ignora il divenire e l’emulare, vuole essere solo sé.
Con una serie di belle similitudini e considerazioni Neruda tenta di definirne la rarissima e preziosa natura, di circoscriverne la solitaria perfezione. Ma lo fa restando fedele alla fisicità del gatto, soltanto a ciò che di lui è visibile e tangibile, ai suoi movimenti, alle sue pose, ai suoi riti: “Il vento dell'amore all'aria aperta reclami quando passi e posi quattro piedi delicati sul suolo, fiutando, diffidando di ogni cosa terrestre, perché tutto è immondo per l'immacolato piede del gatto”.
Gli animali non parlano, bisogna osservarne il corpo, seguirne gli atti e ogni altra manifestazione, più leggibile o più segreta. E poi, con delicatezza e stupore, provare a comprenderli o provare soltanto a ridisegnarli, come fa questo grande poeta, con tutta la ricchezza espressiva che gli è propria. Poeta che, alla fine, posa la penna, si arrende e dice: ”So tutto, la vita ed il suo arcipelago… Ma non riesco a decifrare il gatto. Sul suo distacco la ragione slitta…”.
Ode al gatto
Gli animali furono imperfetti,
lunghi di coda,
plumbei di testa.
Piano piano si misero in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso: nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L'uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l'ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere solo gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d'oro.
Non c'è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l'elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz'orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto,
nuziale sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell'amore
all'aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto è immondo
per l'immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente della casa,
arrogante vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un irreperibile velluto,
probabilmente non c'è enigma
nel tuo contegno,
forse sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all'abitante meno misterioso,
forse tutti si credono padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni, colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d'accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl'imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l'atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare il gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d'oro stanno nei suoi occhi.
20 Febbraio 2008